Oggi torniamo a parlare di diritto all’oblio e lo facciamo analizzando il provvedimento n. 9236659 emesso dal Garante Privacy in data 14 novembre 2019. Vediamo i fatti. Avanzando la richiesta per il riconoscimento del diritto all’oblio, in presenza di alcuni criteri previsti dalla legge, l’utente potrà vedersi riconosciuto il diritto a rimuovere informazioni personali da Google.
La vicenda
In data 7 giugno 2019 un cittadino aveva richiesto a Google la rimozione dei propri dati personali nelle query di Google. L’URL a cui faceva riferimento il reclamante riportava ad un articolo del quotidiano La Repubblica del 24 settembre 2013 relativo ad una indagine penale consistente nella sottrazione di una quota degli importi pagati dai clienti del bar presso cui prestava servizio quale cassiere all’ospedale “Le Molinette” di Torino. L’indagine si concluse con la condanna dell’imputato a 6 mesi di reclusione ed una multa per furto aggravato.
Secondo l’interessato, però, la condanna di primo grado risaliva a più di sei anni prima che il procedimento fosse ancora pendente in appello rendendo, difatti, la notizia obsoleta, pregiudizievole e, soprattutto, inesatta in quanto poteva venire comunque assolto in appello. Il 17 luglio 2019 Google, in qualità di Titolare del Trattamento dati, ha comunicato di non ritenere sussistenti i presupposti per poter accogliere la richiesta di diritto all’oblio. Per questo motivo, non è stato possibile la rimozione contenuti obsoleti Google.
I motivi riconducibili alla decisione erano diversi. Il primo riguarda il contenuto dell’URL contestato, ritenuto di natura giornalistica e che riferisce di come il reclamante nel 2013 avrebbe truffato la società Ristomatik S.r.l., titolare di un bar di cui era dipendente, sottraendo dagli incassi somme pari a svariate migliaia di euro per un totale di circa centomila euro in un anno.
Un altro motivo per cui, secondo Google, non è stato possibile accogliere la richiesta è che, a causa della sua cattiva condotta, l’interessato è stato anche arrestato con l’accusa di furto aggravato e poi, secondo la ricostruzione contenuta nel reclamo, sarebbe stato condannato, con giudizio pendente in appello. Le notizie, pertanto, devono ritenersi di pubblico interesse, a maggior ragione qualora la fattispecie sia ancora in fase di accertamento.
Il provvedimento del Garante Privacy
A seguito del rifiuto della richiesta da parte di Google l’interessato, per far valere le sue ragioni, fece ricorso al Garante per la Privacy. L’Autorità, dopo un’attenta analisi della documentazione, ha rilevato che l’articolo reperibile nell’ URL oggetto di reclamo risulta risalente nel tempo ed è relativo ad un’indagine penale conclusa nel 2016 con una sentenza di condanna in primo grado alla pena di 6 mesi di reclusione e 300 euro di multa, concedendo all’imputato i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna sul certificato penale.
La permanente indicizzazione di tale URL sia idonea a vanificare del tutto gli effetti concessi in sentenza con il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale ed è per questo che il reclamo è stato ritenuto fondato, obbligando quindi Google a rimuovere l’URL entro venti giorni dalla ricezione del provvedimento.