Quando si parla di diritto all’oblio è lecito specificare che è possibile diffondere i dati personali di un cittadino riguardo a fatti di interesse pubblico. A ribadire questo concetto ci ha pensato, ancora una volta, il Garante per la Privacy, attraverso il provvedimento n. 9232581 del 4 dicembre 2019. Analizziamo i fatti.
La vicenda
Un cittadino, in data 15 luglio 2019, ha chiesto al motore di ricerca Google LLC la rimozione di alcuni URL e la rimozione contenuti obsoleti Google, associati al suo nominativo, e collegati ad un articolo giornalistico riguardanti un procedimento giudiziario che lo vedeva coinvolto. In particolare, il reclamante, lamentava che la perdurante reperibilità di informazioni risalenti a tale procedimento, concluso con una condanna in primo grado poi parzialmente riformata in appello, pregiudicano la sua reputazione personale e professionale, soprattutto in virtù del fatto che la vicenda risaliva a 9 anni fa, facendo inoltre presente di aver intrapreso un “percorso di revisione professionale” attraverso l’apertura di una piccola attività.
La risposta di Google ed il provvedimento del Garante
Una volta pervenuta la richiesta di deindicizzazione e di rimuovere informazioni personali da Google, Google LLC ha comunicato di non poterla accogliere in quanto ha ritenuto ancora sussistente l’interesse pubblico a conoscere la relativa vicenda. In particolare, il motore di ricerca, ha specificato che il cittadino è stato condannato per truffa e la natura giornalistica dell’articolo esclude i presupposti per invocare il diritto all’oblio. Infatti, la vicenda narrata nell’articolo, è stata oggetto di un recente accertamento, concluso del 2017, che ha confermato la condanna già pronunciata dal giudice di primo grado con riguardo al reato di truffa.
Il Garante, preso atto di tutta la documentazione presentata dalle parti chiamate in causa, ha rilevato che i fatti descritti nell’articolo sono stati oggetto di valutazione attraverso due diversi gradi di giudizio, che si sono conclusi con l’accertamento della responsabilità dell’interessato riguardo al reato di truffa. Il giudizio in appello ha confermato la decisione del giudice di primo grado e, considerando la gravità della condotta posta in essere dal reclamante, ha ritenuto che non vi fossero le condizioni per la concessione dei benefici di legge.
Il Garante inoltre ha rilevato che, sulla base delle informazioni reperite dal registro delle imprese, il reclamante risulta svolgere un’attività simile a quella in relazione alla quale è stato commesso il reato, motivo per cui ha ritenuto ancora sussistente l’interesse pubblico alla conoscibilità della vicenda. Alla luce di quanto sopra descritto, il Garante Privacy ha ritenuto il reclamo infondato.