In un contesto storico dove internet la fa da padrone, è molto semplice diffondere, ma soprattutto conservare, notizie di ogni genere ed è per questo che capita sempre più spesso di appellarsi al diritto all’oblio, ovvero al diritto di essere dimenticati e di rimuovere informazioni personali da Internet. Questo diritto, però, deve essere sempre bilanciato con il diritto della collettività ad essere informata, che cessa con il trascorrere del tempo e quando viene meno l’interesse pubblico a conoscere una determinata notizia. A questo proposito si è espresso nuovamente il Garante Privacy italiano, attraverso un nuovo provvedimento. Analizziamo i fatti accaduti.
La vicenda
In data 7 febbraio 2020 un cittadino, tramite i suoi legali, ha chiesto a Google di cancellare notizie giudiziarie da Google e dai risultati di ricerca, in particolare di rimuovere alcuni URL collegati ad una vicenda che lo vedeva coinvolto e conclusa con una sentenza di condanna. Secondo l’interessato la notizia non è più attuale e quindi non più di interesse pubblico, in quanto risalente al 2018.
Con una nota del 31 marzo 2020 Google LLC ha comunicato di non poter accettare la richiesta per rimuovere informazioni personali da Google, perché non ci sono i presupposti per esercitare il diritto all’oblio. Infatti, si tratta di notizie pubblicate tra il 2017 e 2018 e riguardanti un procedimento penale per il quale l’interessato è stato condannato a tre anni e sette mesi di reclusione per fatti gravi connessi all’attività professionale da lui svolta. Pertanto, secondo il motore di ricerca, è ancora sussistente l’interesse del pubblico a conoscere le informazioni che lo riguardano e che hanno un indubbio contenuto giornalistico.
Il provvedimento del Garante
Dopo un’attenta valutazione del caso, il Garante ha rilevato che la vicenda giudiziaria descritta negli articoli, reperibili tramite gli URL dei quali è stata presentata la richiesta di rimozione, risale ad un’epoca recente e riguarda la contestazione di gravi condotte che sarebbero state poste in essere dall’interessato durante lo svolgimento della propria attività professionale ed in relazione alle quali è stata anche emessa una sentenza di condanna a tre anni e sette mesi di reclusione.
È per questo motivo che il Garante, con il provvedimento n. 9445947 del 2 luglio 2020, ha ritenuto il reclamo infondato, e la motivazione è riconducibile dal fatto che deve ritenersi tuttora sussistente l’interesse della collettività a conoscere la relativa vicenda, soprattutto in virtù del ruolo pubblico ricoperto dall’interessato.