Nuovi dati sensibili gestiti dai motori di ricerca

Il recente scandalo di Cambridge Analytica (che ha messo in ginocchio Facebook per la diffusione a terzi dei dati di milioni utenti) ha portato all’attenzione pubblica il problema della gestione delle informazioni raccolte sul web da parte dei colossi di internet. Con il nuovo Regolamento UE/679/2016 (GDPR, General Data Protection Regulation) in materia di protezione dei dati su internet, l’utilizzo dei dati personali degli utenti è adesso soggetto ad un maggiore controllo, grazie alla previsione di un analitico sistema di tutela che pone l’interesse del singolo in una posizione di protezione privilegiata, così di fatto limitando l’uso indiscriminato delle informazioni che lo riguardano sul web. Stante la relativa novità del nuovo Regolamento europeo (che è divenuto direttamente applicabile in tutti gli Stati membri dallo scorso 25 maggio), i “grandi” della rete hanno dovuto adottare tutte le misure necessarie per non incorrere nelle gravi sanzioni economiche previste dal GDPR – si parla del 4% del fatturato global – nel più breve tempo possibile; in particolare, Google e gli altri hanno dovuto ottenere il consenso di milioni di utenti per poter continuare ad utilizzarne i dati nel rispetto della nuova normativa.

E’ chiaro che nell’adeguamento al GDPR questi colossi – Google soprattutto – siano avvantaggiati rispetto ai singoli professionisti e/o alle piccole aziende: gli enormi capitali a loro disposizione hanno infatti permesso una veloce e capillare applicazione del nuovo Regolamento, con la conseguenza – paradossale – di incrementarne ancor di più il successo rispetto alle realtà minori (e prive degli strumenti finanziari necessari).

Si prospetta infatti un incremento esponenziale per Google nelle pubblicità delle aziende sui suoi servizi online, con la loro conseguente diminuzione sulle piattaforme degli altri concorrenti; secondo fonti più che attendibili (Wall Street Journal) Google è il primo vero vincitore del GDPR, e le sue quotazioni in borsa sono in continuo rialzo. La forza di Google sta però nella sua capacità di scaricare sulle singole aziende e, soprattutto, sui singoli editori (che utilizzano i suoi servizi per pubblicare on line i propri prodotti editoriali) le responsabilità e gli obblighi previsti in materia di privacy; in particolare, Google ha affermato di essere una mera “piattaforma che lavora i dati” e, conseguentemente, di non trattare in alcun modo le informazioni personali dei suoi utenti, così generando nel pubblico l’errata convinzione che il motore di ricerca non abbia nulla a che fare con la nuova normativa dettata dal Legislatore europeo. Gli editori si trovano così a dover escogitare nuovi strumenti per richiedere ed ottenere il consenso degli utenti in rete, non potendo contare sull’aiuto del colosso motore di ricerca. Tuttavia, la grande forza di Google non è sempre immune da critiche: il famoso motore di ricerca è stato infatti citato in giudizio innanzi l’Alta Corte Britannica per aver “clandestinamente registrato e analizzato” le informazioni di 4,4 milioni di utenti di iPhone nel Regno Unito, aggirando le protezioni in materia di Privacy sul motore di ricerca Safari. Attraverso questa class action le associazioni di consumatori intervenute hanno accusato il colosso californiano di aver raccolto i dati dei suoi utenti su razza, salute, preferenze politiche, sesso, classe sociale, dati finanziari e geolocalizzazioni, al fine di “vendere” i risultati ottenuti agli inserzionisti pubblicitari.

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