A partire dalla Sentenza straordinaria del maggio del 2014, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha stabilito la validità del diritto all’oblio, ovvero il diritto di un utente di richiedere la cancellazione o la deindicizzazione di un contenuto online nel caso in cui esso leda la propria reputazione online. Nello specifico, è possibile richiedere a un motore di ricerca come Google di rimuovere determinati risultati che lo riguardano e che appaiono nella pagina dei risultati inserendo come chiave di ricerca il proprio nome o informazioni ad esso collegato e che portano quindi inequivocabilmente ad identificare la sua persona.
Nel momento in cui un utente richiede la rimozione di un determinato contenuto, quindi, il team di Google si accerterà che i link in questione siano inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti o eccessivi, ovvero che siano rispettati i criteri stabiliti dal Regolamento Europeo e dal Garante della Privacy per avere diritto alla cancellazione delle informazioni personali da Google.
Oltre a questi criteri, vengono presi in considerazione da Google, in qualità di motore di ricerca, anche il giusto equilibrio che vi è tra il diritto alla privacy del singolo e l’interesse pubblico ad accedere alle informazioni.
Le richieste vengono quindi valutate caso per caso e, in alcuni casi, potrebbero essere richieste informazioni aggiuntive alla persona in questione. Tutta la procedura di analisi, comunque, viene svolta secondo quelle che sono le linee guida del Gruppo di Lavoro ex Articolo 29 e sottoposte ad un esame manuale, al termine del quale viene inviata una mail al diretto interessato per informarlo dell’accettazione/rifiuto della richiesta e di una breve spiegazione allegata. Essendo Google il motore di ricerca più utilizzato al mondo, è anche quello che contiene quindi più informazioni riguardo persone, cose, eventi e aziende. Per questo motivo, sono quindi molto elevate anche le probabilità che siano presenti informazioni che ledono la web reputation di una persona fisica o di un’azienda e che la stessa vorrebbe rimuovere.
Solo su Google, ad esempio, sono state effettuate finora quasi 4 milioni di richieste di rimozione di URL e sono state rimosse più di un milione di URL dal 29 maggio 2014, data in cui è entrata in vigore la legge sul diritto all’oblio. Tali dati sono presenti nel Rapporto sulla trasparenza pubblicato da Google in merito alle richieste di rimozione di contenuti ai sensi delle leggi europee sulla privacy: in tale rapporto sono infatti resi pubblici tutti i dati (sia in somme totali che separati per ciascun Paese europeo) sul volume delle richieste, sugli utenti che hanno inviato tali richieste e sui contenuti e gli URL dei siti web indicati in tali richieste.
Stando a tale rapporto, ad esempio, possiamo vedere come dal maggio del 2014 al gennaio 2021 le richieste di rimozione contenuti sono aumentate esponenzialmente nel tempo, in una crescita costante e duratura che sembra non diminuire mai.
Nonostante la crescita costante delle richieste di rimozione, però, non sempre queste possono essere accettate: che sia per la presenza di soluzioni alternative, per motivi tecnici, per richieste/URL duplicati o per l’elevato ed ancora attuale interesse pubblico, una notizia o un determinato URL può infatti anche non essere rimosso, come dimostrato dal seguente grafico pubblicato nel Rapporto di trasparenza.
Non è sempre facile valutare il giusto equilibrio tra interesse pubblico e diritto privato alla privacy e questo è infatti uno dei motivi più frequenti per cui è difficile valutare l’accettazione o meno di una richiesta di rimozione.
In particolare, il grafico mostra in percentuale il numero effettivo di URL rimossi in relazione a quelli totali di cui è stata richiesta la rimozione. In questo grafico non sono tuttavia incluse le richieste di rimozione ancora in lavorazione o per la cui elaborazione sono necessarie ancora ulteriori informazioni.