Google condannata a pagare i danni per non aver rimosso notizie false dalle ricerche

Google è stata condannata a pagare i danni morali ad un utente per non aver rimosso gli URL in merito alle notizie false dalle ricerche. In particolare si tratta di una notizia oggetto di una condanna per diffamazione (compresi anche quelli di siti gestiti da altri motori di ricerca). Questo perché big G, quale internet service provider, mette a disposizione di tutti gli utenti i necessari riferimenti per identificarli. Tramite la sentenza 18430/2022, la Cassazione ha quindi respinto il ricorso presentato da Google Llc dopo la condanna a risarcire 25 mila euro un utente per danni morali. La notizia trae origine a seguito della diffusione su internet, da parte di un collega della persona lesa, di notizie che additavano quest’ultimo di avere un parente appartenente ad un’associazione di stampo mafioso. Il comportamento sopra citato fu censurato, in sede penale, dal Tribunale di Lecco, che condannò il collega per il reato di diffamazione. La notizia si era già ampiamente diffusa sul web e, nonostante la richiesta a Google di deindicizzare gli URL recanti i predetti contenuti, rimase comunque accessibile e visto il perdurare della situazione, il soggetto leso si è visto costretto a rivolgersi al Tribunale di Milano, con l’assistenza degli avvocati Angelica Parente e Domenico Bianculli.

La Corte Suprema ha confermato l’esclusiva responsabilità del colosso americano, certamente un hosting provider, ma ha corretto il motivo del Tribunale che aveva fondato le sue motivazioni in base alla clausola generale dell’articolo 2043 del Codice civile, ovvero sul risarcimento del danno ingiusto per fatto illecito. Infatti, venne stabilito che furono i giudici di primo grado a sbagliare, in quanto stabilirono l’inapplicabilità del Dlgs 70/2003, che attua la direttiva sul commercio elettronico, considerandolo relativo soltanto alla memorizzazione, fornite da altri, di informazioni commerciali. La Suprema Corte ha quindi stabilito che la norma, invece, è applicabile poiché la responsabilità scatta immediatamente dopo che l’hosting non si attiva a disabilitare l’accesso alle informazioni illecite, dopo esserne venuto a conoscenza. È proprio questo il caso di Google, che funge sia da intermediario di informazione su internet che da banca dati gestore delle pagine migliori che vengono selezionate ed organizzate sul web. In conclusione, il Tribunale ha ritenuto di includere tutti gli URL indicati dal richiedente ma non solo. Sono stati inclusi, infatti, anche gli indirizzi relativi alla condanna precedente, che possono fare riemergere la vicenda e quelli gestiti da altri motori di ricerca. Google ne è responsabile poiché mette a disposizione degli utenti, tutti gli strumenti necessari per identificarli.

 

 

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