Sul web qualsiasi azione che un’azienda o un professionista compie viene giudicata, o anche semplicemente resa pubblica, spesso ancor prima che se ne abbiano le prove legali della sua veridicità. Quando una notizia provoca infatti uno scandalo rivelatosi poi ingiustificato, incorretto, incompleto o frutto di fraintendimenti, nonostante la giustizia faccia il suo corso e lo riveli tale, non è detto che la web reputation vada di pari passo verso una redenzione totale. La reputazione online infatti riguarda l’opinione che viene creata, attraverso la rete, di un determinato brand o di una determinata persona e che, quindi, può essere difficilmente ripristinata una volta danneggiata. Ciò avviene soprattutto perché online non sempre le notizie più visualizzate o che appaiono tra i primi risultati sono quelle più recenti, aggiornate o veritiere, ma spesso continuano ad apparire contenuti inopportuni o non più rilevanti ma che continuano quindi a rovinare la reputazione di un’azienda o di un libero professionista, nonostante la questione chiusa da tempo.
È stato questo il caso del richiedente interessato dal Provvedimento del 15 ottobre 2020 n° 9491061, la cui web reputation era ormai gravemente lesa nonostante un procedimento al quale era stato dichiarato estraneo; per questo motivo, aveva deciso di richiedere la rimozione di alcuni contenuti al motore di ricerca Google, in seguito al cui rifiuto si è rivolto con un reclamo direttamente al Garante per la Protezione dei Dati Personali (GPDP). In occasione della riunione indetta a tal proposito, quindi, il prof. Pasquale Stanzione, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, il dott. Agostino Ghiglia, il dott. Claudio Filippi e l’avvocato Guido Scorza hanno di comune accordo deciso di ritenere fondato il reclamo sporto dall’interessato il giorno 4 marzo 2020.
Con la suddetta segnalazione il diretto interessato aveva richiesto all’Autorità garante di ordinare a Google LLC, il quale aveva respinto la sua precedente richiesta, di rimuovere i risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nominativo di alcuni URL; essi erano collegati ad articoli riguardanti un’inchiesta giudiziaria relativa a condotte contestate, in via principale, ad altri soggetti e rispetto alla quale il medesimo è risultato estraneo.
Nonostante l’assenza di alcun seguito nei suoi riguardi, l’interessato ha lamentato che tali notizie continuavano a permanere online e ad incrementare il pregiudizio derivante alla propria reputazione personale e professionale.
Il rifiuto di Google
In risposta alla richiesta dell’Autorità Garante di fornire maggiori informazioni riguardo tale rifiuto, Google LLC aveva specificato la sua impossibilità a ritenere sussistenti i presupposti per il diritto all’oblio per due motivi: la prima di carattere temporale, in quanto si trattava di articoli troppo recenti (risalenti al 2018) per essere già rimossi; la seconda riguarda il suo coinvolgimento invece, anche se in maniera indiretta, negli argomenti trattati da tali articoli: qui veniva infatti specificato come tra gli accusati di corruzione ci fosse anche suo padre e, soprattutto, come il suo nome apparisse tra i percettori di redditi da parte di un imprenditore che avrebbe corrisposto tangenti per assicurarsi l’aggiudicazione di appalti di fornitura di prodotti sanitari. Dati i precedenti due motivi, quindi, il terzo motivo non meno importante per cui Google si è rifiutato di rimuovere tali notizie è la prevalenza dell’interesse pubblico a conoscere la vicenda rispetto al diritto alla privacy del singolo.
Tuttavia, dati i documenti che attestavano la dichiarata estraneità all’indagine giudiziaria indicata negli articoli oggetto di reclamo, l’assenza di iscrizioni a suo riguardo, l’impatto sproporzionato sulla sfera giuridica dell’interessato, nonostante la vicenda molto recente il GPDP ha ritenuto fondato il reclamo ed ha quindi ordinato a Google di rimuovere i risultati in questione entro 20 giorni dalla ricezione di tale notifica.