Non è possibile invocare il diritto all’oblio quando si è coinvolti in gravi vicende giudiziarie ed il cui iter processuale non si è concluso da molto tempo in quanto, in questi casi, l’interesse pubblico non può essere venuto meno. È questa la motivazione per cui è stato ritenuto infondato un reclamo, attraverso il provvedimento n. 9559901 del 29 ottobre 2020, di un cittadino che chiedeva a Google la rimozione di alcuni URL collegati a contenuti riguardanti una vicenda giudiziaria nella quale il medesimo è stato coinvolto in un altro Paese a seguito di accuse di molestie sessuali rivolte nei suoi confronti da alcune donne ed in relazione alle quali è intervenuta una sentenza di patteggiamento “a seguito di assunzione di colpa” da parte sua. Vediamo i fatti.
La vicenda
Secondo il reclamante solo alcuni degli articoli reperibili in rete hanno effettivamente riportato la verità processuale dei fatti, avvenuti al di fuori dell’Italia, e l’assunzione di colpa è stata solo una conseguenza obbligata prima dell’inizio del processo e senza la possibilità di scarcerazione. Sempre secondo il reclamante, i fatti di cronaca sono risalenti nel tempo, avvenuti in un altro continente e per i quali è stata interamente scontata la pena inflitta. La perdurante reperibilità in rete degli articoli, oltre a determinare un grave pregiudizio nei suoi confronti, non danno al reclamante la possibilità di “riabilitare” la propria immagine.
La risposta di Google ed il provvedimento del Garante
Google, con una nota del 9 marzo 2020, ha dichiarato di non poter provvedere alla richiesta di deindicizzazione presentata dal reclamante, in quanto non sussistono i presupposti per l’esercizio del diritto all’oblio, trattandosi di notizie di cronaca giudiziaria molto recenti e relative ad una fattispecie di reato molto grave. Gli articoli, infatti, risalgono al 2016 e riguardano un procedimento penale per abuso sessuale, accaduto all’estero ed in ordine al quale l’interessato è stato condannato a 4 anni e 6 mesi di carcere dichiarandosi colpevole dei fatti a lui imputati. Secondo Google la notizia è tuttora di interesse pubblico, soprattutto in virtù del fatto che il reclamante “intende svolgere, ancora oggi, la medesima professione di massaggiatore che, secondo quanto riferito dagli articoli, avrebbe dato occasione all’interessato di entrare in contatto con le vittime“. A seguito del reclamo presentato al Garante Privacy, l’autorità ha confermato la decisione presa dal motore di ricerca, perché la vicenda giudiziaria riguarda un procedimento penale per reati gravi e conclusosi con la condanna dell’interessato a quattro anni e sei mesi di reclusione. In virtù di quanto sopra descritto, secondo il Garante, deve ritenersi sussistente l’interesse del pubblico a conoscere vicenda.