Eliminare notizie dal web: leggi questo provvedimento del Garante

Anche nel caso in cui non vengono esplicitamente utilizzati il nome e cognome di una persona è possibile appellarsi al diritto all’oblio, se dai principali motori di ricerca, utilizzando altre parole chiave, escono fuori dei contenuti irrilevanti, eccessivi o dannosi e non più di interesse pubblico, riguardo il soggetto interessato. Questo è quanto è emerso in una sentenza del Garante della Privacy. Purtroppo sempre più spesso risulta difficile cancellare le proprie informazioni su internet, di fronte ad un rifiuto da parte dei motori di ricerca che, non sempre, seguono le linee guida vigenti in tutta l’Unione Europea. Vediamo insieme il caso in questione, terminato con il provvedimento emesso dal Garante in data 22 luglio 2021. Ricordiamo che si ricorre all’Autorità Garante della Privacy per richiedere di eliminare notizie dal web, cancellare notizie da Google, rimuovere informazioni personali dagli indici di ricerca e deindicizzare link da Google.

La vicenda

La vicenda riguarda un soggetto che ha richiesto, a Google, la rimozione di alcuni post anonimi e risalenti a 10 anni prima e che facevano riferimento ad una vicenda giudiziaria conclusa addirittura altri 10 prima, per un totale quindi di 20 anni. In merito a questa vicenda, terminata con l’assoluzione, l’interessato ricoprì soltanto il ruolo di testimone e non fu coinvolto, invece, nel giudizio di appello. Secondo il legale del soggetto i contenuti dovevano essere ritenuti non pertinenti ed obsoleti e, soprattutto, screditavano l’interessato con commenti ed insinuazioni anonime e che non furono mai prese in oggetto per un accertamento giudiziario.

Il ricorso al Garante dopo il rifiuto di Google

L’interessato, una volta inviata regolare richiesta di rimozione a Google, si vedeva rifiutare tale richiesta in quanto gli URL indicati risultavano reperibili senza utilizzare le chiavi di ricerca contenenti il suo nome completo e, pertanto, la richiesta è stata ritenuta inammissibile. Google, inoltre, ha ritenuto che per alcuni degli URL indicati fosse ancora valido l’interesse per la collettività, visto il ruolo pubblico ricoperto dall’interessato. Successivamente al rifiuto da parte di Google, l’interessato presentò ricorso al Garante Privacy, in particolare veniva affermato che le parole chiave erano identificative della sua persona. Esaminata la documentazione, il Garante per la Privacy ha ritenuto fondato il ricorso indicando nel provvedimento che la deindicizzazione doveva essere eseguita su tutti gli URL, vista la facile reperibilità delle informazioni personali attraverso una ricerca “a partire dal nome”. Il Garante ha inoltre specificato che gli esiti riportati nei post anonimi erano già stati superati attraverso una sentenza in cui l’interessato veniva dichiarato “non coinvolto nella vicenda” e, pertanto, tali contenuti risultavano non pertinenti ed obsoleti, obbligando perciò Google alla deindicizzazione.

 

 

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