Come è noto ormai il Diritto all’oblio di cui all’art. 17 del Regolamento UE/679/2016 (meglio noto come G.D.P.R., acronimo inglese per General Data Protection Regulation), riconosce all’interessato (ovvero al soggetto cui si riferiscono i dati personali) il diritto ad essere dimenticato dalla rete attraverso la cancellazione di notizie giornalistiche, già rese di dominio pubblico attraverso la pubblicazione sul web. Le ultime sentenze su diritto all’oblio hanno però ad oggetto un aspetto particolare, in quanto si sono concentrate sulla possibilità del titolare di un esercizio commerciale di chiedere la cancellazione delle recensioni negative visibili su internet che riguardano la propria attività (basti pensare alla diffusione di siti web quali Tripadvisor o a Google My Business).
Il diritto all’oblio deve essere tenuto distinto dalla richiesta del titolare di un’attività commerciale di rimuovere le recensioni negative pubblicate in rete da clienti insoddisfatti: nel caso di commenti negativi, infatti, non è sempre possibile invocare il diritto alla cancellazione previsto dal G.D.P.R., salvo ipotesi particolari. In queste ipotesi, infatti, occorre dare prova che i contenuti lesivi della web reputation di un imprenditore siano falsi o, comunque, non veritieri: al contrario, la libera manifestazione del pensiero espresso da un cliente non può essere compressa, nè limitata, solo perchè questo rappresenta una potenziale lesione dell’immagine professionale altrui.
Sulla scia di ciò, in due recenti pronunce il Tribunale di Roma ha infatti respinto le pretese di due professionisti che avevano chiesto l’immediata cancellazione dalla rete dei commenti negativi pubblicati da clienti insoddisfatti dei servizi ricevuti: dal momento che le recensioni in rete costituiscono un valido strumento di aiuto nella scelta di un professionista o di un esercizio commerciale, i Giudici hanno ritenuto che sussista il pieno interesse pubblico alla permanenza di tali informazioni – seppur negative – su internet. Al contrario, la situazione si capovolge nell’ipotesi in cui vengano pubblicati commenti offensivi o comunque non veritieri su una determinata attività commerciale o professionale. Con un recentissimo provvedimento (n. 17 del 24 gennaio 2019) il Garante per la protezione dei dati personali ha di fatto condannato Google alla rimozione dei risultati reperibili sul motore di ricerca in associazione al nominativo dell’interessato, che aveva esercitato i diritti connessi alla protezione dei dati personali per ottenere la rimozione di commenti falsi ed inesatti sulla propria attività economica, la cui permanenza in rete rappresentava la fonte di un grave pregiudizio per la sua reputazione e la sua immagine professionale. Nel provvedimento allegato il Garante, tenuto conto che la richiesta aveva ad oggetto la rimozione di “commenti diretti ad esprimere perplessità in ordine all’affidabilità del progetto economico intrapreso dal reclamante ed alla condotta tenuta da quest’ultimo”, ha ritenuto che la permanenza in rete di tali commenti abbia rappresentato un pregiudizio effettivo per il reclamante “che non può ritenersi bilanciato da un interesse del pubblico alla conoscibilità di informazioni (negative), riguardanti l’attività svolta dal medesimo”, così di fatto confermando l’orientamento formulato dalla giurisprudenza nazionale. Non ci sono provvedimenti significativi per quanto riguarda la cancellazione di notizie da Google.