Diritto all’Oblio: le ultime sentenze

Dalla piena entrata in vigore del nuovo Regolamento in materia di Privacy, il Diritto all’oblio è divenuto oggetto di una diffusa attenzione da parte di tutti gli utenti interessati alla cancellazione delle informazioni personali dal web. Dalle prime definizioni, che lo inquadravano come il diritto ad essere dimenticati dalla rete, pian piano la sua reale portata si è ampliata, grazie al fondamentale contributo della Giurisprudenza europea e nazionale, di concerto con l’intervento – recentissimo – del Legislatore italiano (nel decreto di adeguamento D.Lgs. 101/2018).

In realtà, ben prima della sua concreta applicabilità nel territorio dell’Unione Europea il Regolamento UE/679/2016 (meglio noto come G.D.P.R., General Data Protection Regulation) aveva costituito l’oggetto di una sentenza miliare in materia di protezione dei dati personali; nella cosiddetta “sentenza Costeja c/ Google Spain” del 13.05.2014 (C-131/12) la Corte di Giustizia dell’U.E. ha per la prima volta dato una definizione al Diritto all’Oblio, riconoscendo all’interessato il diritto ad ottenere la cancellazione dei dati personali che risultino lesivi della sua reputazione e riservatezza, purchè non sussista un interesse, prevalente ed opposto, della collettività al mantenimento degli stessi in rete.

Alle medesime conclusioni sono in seguito giunti anche i Giudici italiani: la Suprema Corte di Cassazione in diverse occasioni ha ribadito di aderire alle conclusioni già formulate dai Giudici europei, con la conseguenza che il trattamento illegittimo dei dati personali in violazione delle disposizioni di legge (ivi compreso il nuovo Regolamento UE) dovrà essere valutato alla stregua dell’interesse pubblico alla conoscibilità di una notizia (Cass. Civ. 6919/2018). Per poter esercitare vittoriosamente il diritto alla cancellazione dei dati personali dalla rete non occorre però la sola assenza di un interesse pubblico superiore, è necessario che i dati personali non siano attuali nè recenti: a tal proposito, in diverse pronunce le Giurisdizioni nazionali (ad es. Cass., Sez. I, sent. del 24.06.2016, n. 13161) e straniere hanno di fatto accettato la necessaria presenza del requisito temporale per l’esercizio del diritto alla cancellazione dei risultati di ricerca Google.

Ma non senza eccezioni. Con una recentissima pronuncia, il Tribunale di Milano ha ritenuto di dover ammettere la deindicizzazione delle URL correlate al nominativo del ricorrente (da intendersi quale strumento per l’esercizio del Diritto all’oblio) anche in assenza del criterio dell’attualità della notizia da rimuovere; in particolare, i Giudici hanno riconosciuto la sussistenza del diritto alla deindicizzazione anche delle notizie soltanto inesatte – e non anche obsolete – così permettendo un’interessante estensione dei confini dell’oblio. Il Tribunale meneghino ha di fatto accolto un orientamento che sta prendendo piede anche nei più recenti provvedimenti del Garante per la Protezione dei dati: la deindicizzazione può essere ammessa nelle ipotesi di oblio strictu sensu considerato o, in alternativa, quando le notizie, seppur recenti, risultano inesatte o comunque non corrispondenti al vero.

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