A due anni e mezzo dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha riconosciuto il diritto dei cittadini all’oblio dei dati sui motori di ricerca internet, i Tribunali italiani hanno affrontato la questione, e creato in queste ultime settimane dell’anno dei precedenti giudiziari importanti. Una sentenza del Tribunale di Roma del 3 Dicembre 2015 ha respinto la richiesta di risarcimento danni nei confronti di Google da parte di un cittadino che, con l’assistenza del suo avvocato, si era visto negare da Google una richiesta di “deindicizzazione” di 14 link dai suoi Risultati di Ricerca. La motivazione è da trovarsi nel fatto che il cittadino fosse impiegato in un ruolo pubblico, e per questo motivo il Tribunale ha deciso di difendere l’interesse preponderante del pubblico stesso ad accedere alle informazioni concernenti il suo nome nella ricerca su Google.
Sotto questo profilo, il diritto all’informazione ha guadagnato terreno nei confronti del diritto all’oblio, ciò in particolar modo per i personaggi pubblici che, senza adeguata documentazione dimostrativa (come archiviazioni, sentenze, ecc.), si ritrovano soccombenti nel nome della cronaca. E pare che, più passi il tempo, maggiori siano le difficoltà di esercizio del diritto all’oblio da parte dei cittadini europei: le statistiche dicono che Google respinge 2 richieste su 3, e le sentenze dei Tribunali sono orientate alla ricerca di nuovi equilibri tra i tanti diritti da tutelare.
Oltre ad essere sempre più numerosi i casi di sentenze in cui le testate giornalistiche escono indenni da richieste di risarcimento danni da parte di persone fisiche e giuridiche, che si sentivano vulnerate dalla raccolta di informazioni su internet attraverso i loro siti web, anche il Garante della Privacy inizia a mettere dei “paletti” nei confronti delle richieste per il diritto all’oblio sui motori di ricerca. Lo scorso 12 Dicembre 2016 le agenzie di stampa italiane riportavano una newsletter del Garante della Privacy nella quale dichiarava infondata la richiesta di deindicizzazione di alcuni articoli riguardanti un caso di vicenda giudiziaria grave, il cui iter processuale era concluso da poco tempo. Questa dichiarazione è in linea con gli altri Garanti Europei, che negli ultimi mesi hanno ribadito la volontà nel voler rigettare le richieste di diritto all’oblio se coinvolgono informazioni riferite a reati gravi o che hanno comportato un forte allarme sociale.
Dunque le circostanze di oggi inducono a riflettere su nuove definizioni del diritto all’oblio in Europa, figlie di un “ridimensionamento” della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nella quale è scritto che l’esercizio del diritto dell’oblio deve sempre essere concesso se ci sono di mezzo “il rispetto della vita privata e della vita familiare” (Art.7) e l’inoppugnabile Art. 7 Della Carta dei diritti UE, che recita: “ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica”. Come una coperta troppo corta, i tanti diritti cercano di esercitarsi in un tira e molla tra Google, pubblico e dato personale, con orientamenti alla tutela dei diritti del pubblico a discapito del privato. Nelle prossime stagioni, effettuare richieste di cancellazione URL o notizie da Google sarà più difficoltoso, e le persone dovranno tornare a gestire la reputazione online (“web reputation”) pensando di più ai territori digitali che non a quelli “dei tribunali”, o perlomeno è così che pare convenga agire di conseguenza.