È iniziato già da qualche giorno un vero e proprio braccio di ferro tra il direttore scientifico dell’Università Mercatorum Francesco Fimmanò e Google, in merito ad una richiesta di diritto all’oblio presentata dal professore ed inerente il suo convogliamento ad una vicenda del 2020 in una inchiesta della Procura di Bari dove si contestavano le modalità con cui l’Agenzia pugliese per il diritto allo studio gli aveva affidato un incarico legale.
La riforma Cartabia
Prima di addentrarci sulla vicenda è opportuno fare una piccola premessa in merito all’importante riforma Cartabia, con il quale è stato riconosciuto a tutti gli effetti il diritto all’oblio, in particolare nella più recente declinazione della deindicizzazione, a chi sia stato indagato o imputato e abbia visto la propria posizione definita con un provvedimento favorevole come, ad esempio, archiviazione, non luogo a procedere o proscioglimento. Analizziamo ora la vicenda.
Il caso Fimmanò-Google
Il professore Francesco Fimmanò nel 2020 venne coinvolto in un’inchiesta dove si contestavano le modalità con le quali l’Agenzia pugliese per il diritto allo studio gli affidò un incarico legale. Una volta conclusa l’indagine, il caso venne archiviato in quanto, secondo la Procura di Bari, tutto fu fatto con la massima trasparenza. Il gip, nel decreto di archiviazione specificò che, ai sensi dell’art. 17 del Regolamento europeo del 2016, poteva essere richiesto un provvedimento di sottrazione dell’indicizzazione da parte dei motori di ricerca che avevano menzionato la vicenda.
A seguito di tale circostanza, Fimmanò ha iniziato il suo braccio di ferro con Google, al fine di chiedere la deindicizzazione della notizia, cancellare informazioni da Internet e i suoi dati personali ma, nonostante una diffida, non ricevette alcun riscontro da parte del colosso di Mountain View. A quel punto Fimmanò si rivolse al Garante per la Privacy.
A seguito del reclamo presentato dal professore e a distanza di poche settimane arrivò la risposta di Google, il quale comunicò a Fimmanò di aver rimosso solo alcuni dei link indicati ed esclusivamente “a titolo di cortesia”, mentre gli altri dovevano rimanere a disposizione della collettività in quanto davano conto dell’avvenuta archiviazione e fornivano un quadro aggiornato della vicenda penale.
Secondo il motore di ricerca, quindi, è prevalso l’interesse pubblico ad avere accesso alle informazioni, in virtù del ruolo pubblico ricoperto dal reclamante, motivo per cui il diritto all’oblio non può essere applicato. Per questo motivo, non è stato possibile attivare la procedura per cancellare notizie da Google. La “battaglia”, comunque, non è conclusa in quanto Fimmanò ha presentato un nuovo reclamo al Garante Privacy e per il momento non ci resta che aspettare per scoprire quale sarà il verdetto definitivo.