A partire dalla sentenza straordinaria della Corte di Giustizia Europea del 2014, è possibile per un utente che trova reperibili online delle notizie personali in associazione al suo nominativo, richiedere la rimozione delle stesse nel caso in cui tali contenuti siano inappropriati, irrispettosi, non aggiornati, irrilevanti o non più rilevanti per l’interesse pubblico ad averne conoscenza e quindi per l’iniziale scopo della loro permanenza online. Le richieste di rimozione contenuti a Google sono quelle più frequentemente avanzate dagli utenti, in quanto motore di ricerca più utilizzato al momento e quindi con più probabilità di trovare dati personali che ledano la web reputation di qualcuno. Ogni richiesta di rimozione viene valutata caso per caso sui criteri stabiliti dalle linee guida del Gruppo di Lavoro ex Articolo 29 e, qualora la richiesta non venisse accolta, verrà inviata una mail con la spiegazione del motivo della mancata rimozione.
Una mancata rimozione da Google potrebbe avvenire per l’esistenza di soluzioni alternative, per motivi tecnici o URL duplicati, ma anche per motivi legali quali la rilevanza delle informazioni per l’interesse pubblico, criterio molto difficile da stabilire ma che trova spesso luogo quando si tratta di fatti relativi alla vita professionale del richiedente, a un crimine del passato, a una carica politica o una posizione nella vita pubblica.
Tale è il caso del Provvedimento n° 9445898 del 2 luglio 2020 preso dal Garante per la Protezione dei Dati Personali in occasione di un reclamo presentato dall’interessato riguardo la mancata rimozione richiesta a Google LLC di alcuni URL rimandanti a sue notizie personali. Nello specifico, tali URL rimandavano ad articoli contenenti notizie relative ad una vicenda giudiziaria nella quale è stato coinvolto il diretto interessato ed in relazione alla quale è stato condannato in primo grado a due anni di reclusione. Tuttavia, nonostante l’andamento della condanna, l’interessato ha comunque provato a chiedere a Google la rimozione di tali dati personali dal motore di ricerca, per il pregiudizio che creava alla sua reputazione personale e professionale in modo amplificato a causa di un’erronea valutazione dei fatti condotta dal giudice di primo grado, come sarebbe stato dimostrato in appello. Inoltre, egli non ricopriva più alcun ruolo pubblico al momento della segnalazione.
Tuttavia, Google ha dichiarato non sussistenti le motivazioni per l’esercizio del suo diritto all’oblio e l’Autorità Garante ha confermato la sua decisione dichiarando infondato il reclamo sporto dal richiedente. Il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha infatti affermato come i contenuti contestati risultassero pubblicati innanzitutto in epoca recente e come si riferissero ad un reato effettivamente commesso dal medesimo nell’esercizio del ruolo ricoperto all’interno di una pubblica amministrazione, per il quale il medesimo è stato condannato a due anni di reclusione ed in relazione al quale è tuttora pendente il giudizio in appello. Inoltre, contrariamente a quanto affermato dal reclamante, non risultano indicazioni sulla concessione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale nel dispositivo della sentenza depositata unitamente all’atto di reclamo. Infine, il reclamo è stato ritenuto infondato in quanto l’Autorità non può entrare nel merito della ricostruzione dei fatti effettuata dal giudice di primo grado e l’interesse pubblico a conoscere la vicenda risulta ancora sussistente.